Il processo che si trasforma in tragedia
Due anni dopo, il caso andò a processo. In aula, Marianne Bachmeier, la madre di Anna, ascoltò i dettagli del crimine. Sopraffatta dal dolore, estrasse improvvisamente una pistola e sparò sette colpi. Sei colpi colpirono Grabowski, che morì sul colpo, davanti a giudici, avvocati e giornalisti presenti.
In aula si scatenò immediatamente il caos. La madre non tentò di fuggire. Si lasciò arrestare, immobile, con lo sguardo fisso. I media tedeschi la soprannominarono subito “madre vendicativa”.
Una Germania divisa
Fin dall’inizio, il Paese si è diviso. Per alcuni, Marianne incarnava il dolore di una madre privata della giustizia e vendicava la figlia. Per altri, ha aperto la pericolosa porta della giustizia privata. Il dibattito è diventato nazionale.
Nel 1983, dopo due anni di procedimento, fu emesso il verdetto. Marianne fu dichiarata colpevole di omicidio colposo e possesso illegale di arma da fuoco. Fu condannata a sei anni di carcere, ma ne scontò solo tre prima di essere rilasciata.
I sondaggi dell’epoca mostrarono che l’opinione pubblica era profondamente divisa: alcuni consideravano la pena troppo dura, altri troppo clemente.
Tra dolore e premeditazione
La vita di Marianne Bachmeier era già stata segnata da profonde ferite. Suo padre era stato membro delle Waffen-SS, lei stessa aveva subito violenze e aveva dato in adozione due dei suoi figli prima di crescere da sola Anna, la sua terza figlia.
Anni dopo, nel 1995, riconobbe che le sue azioni non erano state puramente impulsive. Ammise di averle premeditate, affermando di voler impedire a Grabowski di macchiare nuovamente la memoria di sua figlia in tribunale.
