Dietro il sorriso: anni di dolore nascosto
Solo poche ore prima, tremavo in cucina, mentre irroravo il tacchino. I lividi sulle costole mi facevano ancora male. Erano dovuti alle “lezioni” che Maxwell mi aveva dato la settimana prima. Ma avevo pulito tutto e messo tutto su un piatto per nascondere il dolore della visita.
Emma era seduta alla scrivania a fare i “compiti”, ma era evidente che osservava ogni mia mossa. Conosceva i segnali d’allarme meglio di me: come le spalle di Maxwell si irrigidissero per una tirata, come il silenzio precedesse i suoi momenti peggiori. Mi aveva chiesto gentilmente: “Mamma, stai bene?”. La mia bugia arrivò subito: “Sto bene”, dissi, e lei rispose: “No, non sto bene”. La sua intuizione mi spezzò il cuore, ma le ero grata.
L’illusione familiare perfetta
Poi suonò il campanello. Maxwell si trasformò. Da carnefice a sorridente ospite in pochi secondi. La sua famiglia entrò come predatori in abiti firmati. Fecero commenti pateticamente insulsi sul mio aspetto e sulla mia intelligenza. Sorrisi e finsi… ed Emma guardò. Filmò tutto.
Mi elogiavano per la mia “buona condotta”, la mia “condiscendenza” e per “aver saputo stare al mio posto”. Mi sentivo come se stessi annegando in parole umilianti. Volevo tornare a studiare infermieristica. Maxwell mi aveva detto che ero troppo stupida e che avrei messo in imbarazzo la famiglia. Non dissi nulla, ma anche Emma se ne accorse.
