“Fatevi da parte, magazziniere!” La voce di Lance Morrison fendette l’aria frizzante del mattino con un tono brutale mentre spingeva via la fragile donna alle prese con uno zaino consumato. Inciampò sul marciapiede del centro di addestramento dell’esercito americano, i suoi anfibi consumati raschiarono l’asfalto, ma non cadde. Anzi, si riprese con la calma e la disinvoltura di chi è da tempo abituato a essere spinto da parte.

Un’ondata di risate acute e crudeli eruppe dagli altri cadetti, il tipo di suono che riecheggia in ogni base militare dove l’ambizione e l’arroganza covano. Questo fu il loro divertimento prima dell’alba: una donna che sembrava essere scappata dalle auto e si era ritrovata tra le reclute d’élite in uno dei campi di addestramento più estenuanti del paese.
“Davvero, chi ha fatto entrare la squadra delle pulizie nel campo di allenamento?” scherzò Madison Brooks, tirandosi su la coda di cavallo bionda perfettamente acconciata e indicando con tono beffardo la maglietta scolorita e gli stivali consumati della donna. “Questo non è un evento di beneficenza.”
La donna, identificata sulla lista ufficiale come Olivia Mitchell, non rispose. Si limitò a raccogliere lo zaino con movimenti metodici e calmi e si diresse verso la caserma. Il suo profondo silenzio non fece che rafforzare la loro presa in giro, ma esattamente diciotto minuti dopo, quando quella camicia strappata rivelò il segreto che custodiva, tutti in quel cortile sarebbero giunti alla terrificante conclusione di aver appena commesso il più grande errore della loro carriera militare.
Il comandante della base si fermò a metà frase, il sangue gli svanì dal viso quando riconobbe un simbolo che non avrebbe dovuto esistere. Un simbolo che avrebbe cambiato tutto irrevocabilmente.
Olivia Mitchell era arrivata al centro di addestramento di Fort Bragg a bordo di un pick-up sgangherato che sembrava tenuto insieme dalla ruggine e dalla pura forza di volontà. La vernice si stava scrostando in grosse scaglie, gli pneumatici erano incrostati del fango secco di una strada di campagna dimenticata da tempo e, mentre scendeva, ogni aspetto del suo aspetto emanava un’opprimente sensazione di normalità.
I suoi jeans erano stropicciati e consumati, la giacca a vento era sbiadita fino a diventare di un anonimo verde oliva e le sue scarpe da ginnastica erano così consumate che la rugiada del mattino le aveva già inzuppato i calzini. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che fosse l’erede di una delle più grandi fortune del paese, frutto di un’educazione privilegiata, costellata di accademie private e di vaste ville recintate. Ma Olivia non portava nulla di quel mondo con sé.
Niente loghi firmati, niente unghie curate meticolosamente: solo un viso anonimo e vestiti che sembravano aver subito mille lavaggi. Il suo zaino era tenuto insieme in modo precario da un’unica cinghia sfilacciata, e i suoi stivali erano così malconci e consumati che avrebbero potuto appartenere a un veterano in difficoltà.
Ma non era solo il suo aspetto a distinguerla; era la sua profonda immobilità. Era il modo in cui stava in piedi, con le mani infilate casualmente nelle tasche, a osservare il caos organizzato dell’accampamento come se aspettasse un segnale che solo lei poteva percepire. Mentre gli altri cadetti si pavoneggiavano e si mettevano in posa, valutandosi a vicenda con l’aggressiva sicurezza che deriva dalla giovinezza e dal privilegio, Olivia si limitava a osservare.
Il primo giorno era stato deliberatamente progettato per essere un vero banco di prova. Il Capitano Harrow, l’istruttore capo, era un vero gigante, con una voce che avrebbe potuto sedare una rivolta in prigione e spalle che sembravano scolpite nella roccia. Camminava avanti e indietro per il campo di addestramento, valutando i nuovi cadetti con l’occhio critico di un predatore che sceglie il suo prossimo pasto.
“Tu”, abbaiò, puntando il dito dritto verso Olivia. “Qual è la tua storia? Il team logistico si è perso mentre andava alla mensa?”
Il gruppo scoppiò in una risata fragorosa. Madison Brooks, con la sua impeccabile coda di cavallo bionda e un sorriso che le arrivava quasi agli occhi, sussurrò a un cadetto lì vicino, a voce abbastanza alta da essere udita da tutti: “Scommetto che è qui per soddisfare un requisito di diversità. Bisogna rispettare le quote di genere, giusto?”
Olivia non batté ciglio. Incontrò lo sguardo del Capitano Harrow, con un’espressione calma come un lago immobile, e disse: “Sono un cadetto, signore”.
Harrow sbuffò in tono sprezzante e la allontanò come se fosse una fastidiosa zanzara. “Allora mettetevi in formazione. E non fermatevi.”
Quella prima sera, la sala da pranzo era una cacofonia di ego contrastanti e testosterone in aumento. Olivia prese il vassoio e si diresse verso un tavolo d’angolo appartato, lontano dalle chiacchiere rumorose e dalla spavalderia competitiva. La sala era piena del rumore delle reclute che si raccontavano storie sui loro successi passati, con le voci che si alzavano mentre cercavano di superarsi a vicenda.
Derek Chen, snello e arrogante, con un taglio di capelli corto e corto che sembrava trasudare un atteggiamento tutto suo, la vide seduta da sola. Prese il vassoio, si avvicinò con passo spavaldo e lo posò sul suo tavolo con un tonfo deliberato, interrompendo le conversazioni circostanti mentre tutti gli occhi erano puntati sull’imminente scontro.
“Ehi, ragazza perduta”, sogghignò, con la voce attentamente proiettata in modo da echeggiare in tutta la stanza. “Questa non è una mensa per i poveri. Sei sicura che non dovresti lavare i piatti nel retro?”
Il suo entourage scoppiò a ridere. Olivia si fermò, con la forchetta alzata, e incontrò il suo sguardo con i suoi occhi castani, fermi e imperturbabili. “Sto mangiando”, disse, senza emozione.
Derek si avvicinò, con un sorriso sulle labbra. “Sì, beh, mangia più velocemente. Stai assumendo una posizione di cui i veri soldati hanno bisogno.”
